Francesco Buonaggiunti, segretario e rappresentante del Gran Ciambellano fiorentino, attendeva appena fuori dal portone degli Uffizi, nella grande loggia che si apriva davanti all'entrata dell'edificio. Purtroppo era ancora un luogo da risistemare, veniva utilizzato tanti anni prima come locazione per alcuni uffici della Repubblica (da cui aveva preso e mantenuto tutt'ora il nome) ma a poco a poco era andato in disuso, preferendo ad esso Palazzo vecchio, già sede della Signoria. Il novel Principe di Firenze, l'Illustrissimo Visconte della Val di Lima, Lorenzo Ottaviano de' Medici, aveva però dato l'assenso nel riaprire quel loco e nella sua ristrutturazione, ma per quest'ultima ci sarebbe voluto del tempo, magari si sarebbero potuto apportare alcune modifiche di modo da rendere la costruzione di gusto più moderno, più formoso, più classico, come tanto piaceva anche al Buonaggiunti.
Il segretario stava ritto, le mani dietro la schiena, coperto da una lunga veste di velluto fiorentino verde. Nonostante gli ancora caldi raggi del sole, l'aria si stava divenendo fredda e il vento imperversava, ormai l'autunno, era innegabile, aveva preso posto tra i vicoli e le strade della capitale come in tutto il mondo. Due ali di cinque funzionario e notai stavano alla sua destra e alla sua sinistra, con un piccolo nugolo di guardie attorno, arruolate per ogni evenienza; era pur sempre una delle più trafficate vie, quella che univa la piazza della Signoria al fiume, per ciò non poteva mai sapere.
Attendeva il Gran Ciambellano senese, gli aveva scritto alcuni giorni or sono e sperava che il suo invito gli fosse stato gradito, per lui aveva preparato una grande accoglienza di modo che potesse vedere in ogni gesto la buona disposizione della Repubblica nei confronti del Ducato di Siena. Attendeva, i suoi occhi girarono un attimo cercando di intravedere l'Arno che scorreva lì vicino (se ne poteva quasi udirne il rumore, lo scorrere impetuoso se il chiacchiericcio della piazza non veniva a disturbare) ma non riuscì nell'impresa, le colonne gli coprivano la vista per non parlare degli altri edifici. Tornò quindi a guardare verso la via.
Il segretario stava ritto, le mani dietro la schiena, coperto da una lunga veste di velluto fiorentino verde. Nonostante gli ancora caldi raggi del sole, l'aria si stava divenendo fredda e il vento imperversava, ormai l'autunno, era innegabile, aveva preso posto tra i vicoli e le strade della capitale come in tutto il mondo. Due ali di cinque funzionario e notai stavano alla sua destra e alla sua sinistra, con un piccolo nugolo di guardie attorno, arruolate per ogni evenienza; era pur sempre una delle più trafficate vie, quella che univa la piazza della Signoria al fiume, per ciò non poteva mai sapere.
Attendeva il Gran Ciambellano senese, gli aveva scritto alcuni giorni or sono e sperava che il suo invito gli fosse stato gradito, per lui aveva preparato una grande accoglienza di modo che potesse vedere in ogni gesto la buona disposizione della Repubblica nei confronti del Ducato di Siena. Attendeva, i suoi occhi girarono un attimo cercando di intravedere l'Arno che scorreva lì vicino (se ne poteva quasi udirne il rumore, lo scorrere impetuoso se il chiacchiericcio della piazza non veniva a disturbare) ma non riuscì nell'impresa, le colonne gli coprivano la vista per non parlare degli altri edifici. Tornò quindi a guardare verso la via.